Antropocene è un neologismo creato agli inizi di questo secolo per definire il periodo geologico attuale nel quale la specie Homo sapiens è responsabile di modifiche sostanziali agli assetti territoriali, climatici e della biodiversità del pianeta.
Se appare evidente il concetto, un po’ meno evidente diventa la ricerca del primo impatto o meglio quali attività remote della nostra specie potrebbero aver influito per prime sull’integrità degli ecosistemi. Una buona traccia ce la forniscono numerosi studi che sostengono lo sterminio ad opera dell’uomo della megafauna del tardo quaternario. Ma, anche se su questo fronte il dibattito fosse rimasto aperto, non mancano le prove dei colossali disboscamenti in epoca romana, delle bonifiche delle zone umide operata già in epoca Etrusca e ancora dai Romani, dai Benedettini, dal Granducato, dal ventennio fascista.
La capacità distruttiva si è amplificata di molti ordini di grandezza a partire dalla rivoluzione industriale ed agricola fino a trasformare il pianeta in un’immensa fabbrica di beni ed una gigantesca fattoria per il mantenimento quasi sette miliardi e mezzo di individui della popolazione umana. L’aspetto allarmante è legato alla velocità distruttiva e alla conseguente velocità di perdita di specie.
L’attuale crisi della biodiversità procede ad una velocità che non ha precedenti neanche rispetto alle BIG FIVE, le cinque grandi estinzioni che si sono succedute durante il Fanerozoico e si parla della sesta grande estinzione di massa proprio in riferimento all’Antropocene. Darwin ha impegnato la sua vita nella ricerca dei meccanismi evolutivi mediati della selezione naturale ma, forse nel periodo in cui è vissuto, non aveva sufficienti elementi per valutare la potenza selettiva di un’unica specie su tutte le altre.
Claudio Leonzio
Dipartimento Scienze fisiche, della Terra e dell’ambiente